E così ci siamo arrivati. A meno di
improbabili risvolti tragici – e chi la uccide a quella – il
prossimo 6 settembre Elisabetta II raggiungerà il primato di sovrana
inglese più duratura sul trono di ogni altro predecessore. Scalzerà
dalla sommità del podio la trisnonna, Vittoria Alexandrina,
regnante dal 21 giugno 1837 al 22 gennaio 1901, quindi per 63 anni e
mezzo.
Un regno così lungo che quando la bara
della sovrana passò per le strade di Londra prima di giungere a
Frogmore, ben pochi per le vie affollate potevano dire di ricordare
un altro funerale reale. Anzi il funerale diventò un evento storico
eccezionale, ricordato ben oltre il suo tempo, complice anche la
filmografia nascente (furono le prime esequie filmate di un sovrano
inglese), e divenne quasi un segno distintivo l'avervi “partecipato”
fosse pure come semplici spettatori.
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La regina Vittoria in un ritratto ufficiale |
A Frogmore si concludeva la vicenda
terrena di una piccola donna, alta appena un metro e mezzo, che s'era
ritrovata a meno di un anno di età già orfana di padre ed
ereditiera, oltre che di una corona traballante, dei debiti della
madre, sua omonima. Fu un dispetto dello zio Giorgio IV quello
di dare alla nascitura, presso il fonte battesimale, il nome di
Vittoria, di origine tedesca come la madre, affatto tipico dell'isola
(una regina Victoria c'era stata, ma al tempo nientemeno che dei
sassoni, se ben ricordo) per inimicarsi gran parte della popolazione
– già all'epoca tra Londra e le genti tedesche c'erano rapporti di
gelida cortesia e nulla più.
Vittoria è passata alla storia come
una sovrana pudica che, dopo la morte del marito Alberto nel 1861,
per i successivi 40 anni avrebbe mostrato un'inflessibilità
spaventosa verso le gioie della vita e verso la felicità altrui.
Stronzate: la sovrana non fu mai, o almeno non sempre, quel feticcio
casto e asessuato che è passato nell'immaginario collettivo a causa
dei suoi biografi. Senza dar retta alle voci incontrollate che la
vogliono di volta in volta scivolare nel letto del servitore John
Brown o di altri improbabili sudditi, possiamo dire che non era
proprio il tipo da pronunciare a ogni piè sospinto l'odiosa frase: “
We are not amused”. Vittoria, se era sinceramente addolorata
per la scomparsa del compagno di vita, aveva tuttavia abbastanza
senso della propria dignità per rendersi conto che il capo della più
grande potenza mondiale dell'epoca non poteva stare tutto il giorno a
frignare e a pensare al passato. Si riprese, e seppe affrontare le
sfide della seconda metà dell'Ottocento da sola, e in un momento in
cui la monarchia inglese contava politicamente molto più di adesso,
ridotta a farsi rappresentare da borghesucce accalappia – principi
che portano a spasso pargoli nei giardinetti pubblici.
Non è un caso che sia protagonista di
parecchi aneddoti , non tutti storicamente accertati ma che mettono
in luce il lato buffo della “Vedova”, come affettuosamente era
chiamata dai soldati.
Un paio, che rendono bene l'idea del
personaggio, e li riferisco.
Quando lesse “Alice nel paese
delle meraviglie”, scritto nel 1865 dal matematico reverendo
Charles L- Dogson sotto lo pseudonimo di Lewis Carroll, fu
talmente entusiasta dell'opera che ordinò al suo segretario Ponsonby
di portarle il successivo libro di Carroll non appena fosse stato
pubblicato. Tempo dopo, il segretario si presentò con ilo libro, il
cui titolo - “Gli elementi dei Determinati, con applicazione ai
sistemi di equazioni lineari e alla geometria algebrica” -
lasciò di stucco la regina.
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We are amused! |
Oppure, quando il suo medico privato si
sposò, privandolo della sua compagnia giornaliera a tavola, lei ci
rimase così male che non si mostrò molto fredda con lui nei
successivi incontri. Il medico, con tipico humor inglese, in un
biglietto scrisse alla sovrana: “Giuro a Vostra Maestà che non lo
faccio più” e provocò una risata convulsa nella donna, che si
riconciliò con lui.
Una donna tutt'altro che poco “amused”.
E proprio in questi ultimi anni, appartenenti a un'epoca diametrale
opposta a quella in cui visse la sovrana, la sua figura è studiata,
riscoperta, e persino venerata più di prima da parte dei giovani
storici britannici, che riconoscono in lei una figura dalla forte
tempra morale e niente affatto sciocca o limitata come raccontano le
biografie alla Liala che infestano gli scaffali delle librerie. E
così, proprio mentre il suo primato di permanenza sul trono viene
meno, la figura dell'ultima vera tedesca sul trono britannico viene
rivalutata, la sua rigidità viene apprezzata, e la sua fedeltà alla
memoria del marito, ammirata. Oggi, nel 2015, in piena epoca gender.
Una vera vittoria per Vittoria.
Ps.
Con una certa ironia leggiamo cosa
scrisse nel suo diario a proposito del re di Piemonte Vittorio
Emanuele II, incontrato in una visita di Stato: “Povero uomo!
Più che a un re dei nostri giorni, assomiglia a un cavaliere che
viva della sua spada”.
Certo, le conseguenze di questo
cavalierato le conosciamo tutti.
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