Eccettuata una breve visita prima del
mio trasferimento in Germania nel 2014, non mettevo piede al liceo
“Filippo Brunelleschi” di Afragola da ben 9 anni. A questo
pensavo quando stamattina mi sono avviato verso questo moderno tempio
del sapere, dove avvenne la mia ultima formazione culturale nei primi
anni Duemila e che adesso, da poco più di un anno, è retto dalla
preside nonché mia ex insegnante in Lettere Adele Vitale.
Motivo della mia visita era la
presentazione di un libro scritto a quattro mani dai giornalisti
Simone Di Meo e Giuseppe Iannini, che tratta di una
tematica attualissima. Lo si comprende dal titolo: “Soldatessa del
Califfato.”. L'Aula Polifunzionale, al primo piano, era gremita
fino all'inverosimile di studenti, prof e giornalisti. A mediare
l'incontro la parlamentare Pina Castiello, che ha anche
introdotto i lavori con una sua prolusione sul tema del
fondamentalismo islamico: “ Credo che il problema delle
relazioni con il mondo musulmano, che è molto vario e non si può
ridurre solo ai terroristi islamici, debba essere risolto con una
coalizione dei Paesi interessati, per arrivare a risolvere questa
minaccia mondiale”.
Di Meo ha spiegato la genesi di questo
libro: “Abbiamo raccolto la testimonianza di una donna che, a
Raqqa, seguendo il marito tunisino, è entrata a far parte del
Califfato islamico e delle sue organizzazioni (…). Ciò che ci ha
raccontato è stato sottoposto a un serrato fact checking (cioè
controllo delle informazioni rivelate da un test, ndr) per verificare
la veridicità delle notizie che questa persona ci rilasciava
attraverso Internet. Abbiamo anche verificato l'esistenza stessa di
questa persona, Aisha, e della sua storia personale, e i fatti sono
stati tutti confermati”.
Il giornalista prosegue raccontando
particolari atroci della condizione femminile nelle zone occupate
dall'Isis: “ Le donne, le bambine di 13-14 anni, vengono
raccolte in campi di concentramento per essere pronte a soddisfare
gli istinti bestiali degli uomini del califfato, anche più volte
durante la stessa giornata. E dopo, quando a giudizio di
chi organizza tali mostruosità esse non sono più “indispensabili”,
diventano donatrici forzate di sangue per i miliziani feriti durante
gli scontri armati. Non solo vengono stuprate, ma
diventano anche oggetti di rifornimenti di sangue e lasciate poi
morire da sole, abbandonate e dissanguate”. Un orrore che si
accompagna alle devastazioni delle città occupate e alle
trucidazioni di uomini e bambini. “Sono convinto- ha
proseguito De Meo, in risposta a una domanda degli studenti- che
siamo davanti a uno scontro di civiltà. E' poco politicamente
corretto dirlo, ma l'Occidente è responsabile di quanto accade in
quanto si è voluto abbattere tiranni, come Saddam Husseine Gheddafi,
che però erano leoni a guardia di migliaia di iene. Eliminati loro,
è stato facile per gli uomini del Califfato riempire il vuoto, anche
grazie alla straordinaria autonomia economica che l'organizzazione
ha, in quanto ogni giorno l'Isis, nelle sue varie forme, spende
decine di migliaia di dollari.Ma bisogna ricordare anche che la
divisione interna al mondo islamico risale al VII secolo, tra sunniti
e sciiti, e l'Occidente in questo non è responsabile”.
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Sala del convegno |
Iannini ha concentrato il suo
intervento insistendo sull'uso che gli organizzatori dell'Isis fanno
dei social: “A differenza di Al-Quaeda, l'Isis dispone di social
network quali Facebook, Twitter, Whatsapp, e può così reclutare più
uomini e donne possibili in poco tempo. Esiste persino una pagina
Facebok dove vengono reclutati i miliziani, cui sono assegnati uno
stipendio e una casa (…). L' Occidente è solo in parte
responsabile della situazione, in quanto le divisioni del mondo
islamico risalgono, come ha detto Simone, agli albori della civiltà
musulmana, e non si poteva pretendere di intervenire ovunque contro
il mondo musulmano. Naturalmente, ci sono stati interessi”
continua, rispondendo a una domanda dello studente Antonio Chianese
“ma bisogna considerare che il mondo arabo musulmano è vario,e
non tutto riconducibile all'Isis”.
Questi gli autori. Chiudo questa mia
cronaca con una nota di mio pugno.
La domanda di Antonio Chianese –
i lettori assidui di questo blog di storia e cultura se lo
ricorderanno, un paio di volte ho ospitato due suoi articoli- era:
“Perchè l'Occidente bombarda la Siria e non gli Emirati Arabi
Uniti, dove un giornalista è stato frustato 300 volte giorni fa?”.
In verità l' “Occidente” - e già
dovremmo chiederci di cosa stiamo parlando- già intervenne nell'area
durante le due Guerre del Golfo, nel 1991 e nel 2003. Come detto dai
due autori e dalla parlamentare Castiello, non si può ridurre tutto
il mondo islamico, politicamente parlando, a un territorio da
bombardare. Se nel Golfo non c'è democrazia, sono affari dei sudditi
dei sauditi, non certo nostri. Possiamo partecipare emotivamente,
possiamo richiedere interventi forti dei nostri governi, ma questi
oltre a un simpatico accenno di 20 secondi durante gli incontri che
avvengono con gli esponenti di quei Paesi non possono fare altro.
Essi le prenderebbero per indebite intromissioni nei loro affari
interni, come del resto lo sono.
E, francamente, pur rispettando la
formazione di tutti, direi che sia ora di piantarla di dire che
l'Occidente attacca solo dove ha interessi, se si parla di Libia e
Iraq, o dove non ne ha, se si parla degli Emirati.. Bisogna scegliere
una delle due. Non veniamo dalla montagna e due conti sappiamo farli
anche noi: le polemiche fine a se stesse, per quanto nobilmente
animate, non interessano.
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